Posted on 25 Maggio 2016 by
Alessia Musumeci in
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Commenti disabilitati su Un workshop per l’internazionalizzazione delle Pmi
Elena Ruzziconi: “Le Pmi sono meno strutturate ma hanno anche loro la necessità di muoversi in questo senso”.
Si svolgerà venerdì 27 maggio a partire dalle ore 10 presso la sede Unindustria di Ferrara una giornata di incontri e interventi sul tema degli strumenti e modelli di internazionalizzazione delle Pmi, ritenuto ormai dagli addetti al lavoro “una scelta necessaria per garantire uno sviluppo economico e sostenibile sul territorio”. Un workshop questo voluto fortemente da BPER, Smartman e Consorzio Ferrara Innovazione e studiato in collaborazione e con il patrocinio di Unindustria Ferrara per rappresentare un quadro estremamente difficoltoso per le aziende di piccole e medie dimensioni ma che potrebbe garantire nuova linfa alle stesse.
“Lo scopo è quello di analizzare e portare ad una riflessione sul tema le Pmi, che sono meno strutturate per compiere questo percorso, ma che hanno anche loro la necessità di muoversi in questo senso” esordisce nella conferenza stampa di presentazione del workshop Elena Ruzziconi del CFI, la quale poi spiega che il compito del consorzio che rappresenta sarà quello di “aiutare le imprese in un’ottica di accesso alle risorse e ai diversi bandi”.
Al suo fianco è presente Renzo Siboni di BPER che spiega come “per una Pmi che compie il passo dell’internazionalizzazione diventa fondamentale avere gli strumenti e le conoscenze finanziarie adatte per poter operare in mercati esteri e di questo parlerà nel corso della mattinata di venerdì Luigi Volpe di BPER Ferrara che ha seguito diversi casi di processi di internazionalizzazione di aziende più o meno grandi”.
“Il medio oriente garantisce un potenziale enorme per le imprese italiane e ad esempio l’Iran rappresenta una capacità di esportazione pari a 17 miliardi di euro per le nostre aziende” spiega Siboni, che subito dopo mette in guardia sulle “difficoltà e i tempi molto lunghi di incasso dei propri crediti, per questo c’è bisogno di un supporto degli istituti finanziari”.
Michele Mori di Smartman, unica azienda del territorio ferrarese accreditata al Ministero dello Sviluppo Economico per erogare servizi di Temporary Export Manager, ricorda in conclusione “l’attività di consulenza manageriale svolta dal nostro laboratorio per le Pmi in un’ottica di sviluppo delle stesse in termini di nuovi mercati essenziali per la crescita delle aziende ma anche del territorio”.
La giornata di venerdì vedrà tra gli altri gli interventi di Riccardo Maiarelli (presidente Unindustria Ferrara), Paolo Govoni (presidente della Camera di Commercio) e Patrizio Bianchi (assessore regionale). La chiusura del workshop sarà dedicata all’analisi di due casi di Pmi che racconteranno il processo di internazionalizzazione che hanno svolto con il contributo di Unindustria e Smartman.
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Posted on 11 Maggio 2016 by
Alessia Musumeci in
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Commenti disabilitati su Workshop: STRUMENTI E MODELLI PER L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE PMI
Smartman Consulenza e Formazione manageriale, BPER Banca e Consorzio Ferrara Innovazione, in collaborazione e con il patrocinio di Unindustria Ferrara, organizzano il workshop gratuito
STRUMENTI E MODELLI PER L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE PMI
che si terrà venerdì 27 maggio 2016, ore 10 – 13
presso Unindustria Ferrara (Via Montebello 33 – Ferrara)
Gli argomenti che saranno affrontati sono i seguenti: processi di internazionalizzazione delle imprese, analisi e modelli per l’accesso al credito e soluzioni finanziarie per l’export, bandi di finanziamento e supporto territoriale alle imprese.
Il workshop ha l’obiettivo di sensibilizzare le imprese del territorio circa l’importanza di un approccio sistematico alla strategia d’internazionalizzazione, fornendo non soltanto modelli concettuali, ma anche alcuni strumenti concreti per il successo delle imprese che hanno intrapreso questo percorso. Verranno, infine, presentati alcuni casi aziendali di successo.
Il workshop sarà moderato da Cristiano Bendin, Capo Redattore del Resto del Carlino.
SI RIPORTA DI SEGUITO IL PROGRAMMA DELLA GIORNATA:
Ore 9.30 – Registrazione dei partecipanti e welcome coffee
Ore 10.00 – Apertura dei lavori e saluto di benvenuto
Riccardo Maiarelli – Presidente Unindustria Ferrara
Ore 10.15 – La sfida dell’internazionalizzazione per le imprese del territorio
Paolo Govoni – Presidente Camera di Commercio Ferrara
Ore 10.45 – Strumenti di supporto per le PMI sul territorio
Caterina Brancaleoni -Presidente S.I.PRO – AGENZIA PROVINCIALE PER LO
SVILUPPO – Ferrara
Ore 11.15 – Strumenti finanziari per progetti di internazionalizzazione
Luigi Volpe – BPER Ferrara – Ufficio Internazionalizzazione
Ore 11.45 – Competizione globale, politiche e relazioni industriali per lo sviluppo
dell’economia regionale
Patrizio Bianchi – Assessore al coordinamento delle politiche europee allo
sviluppo, scuola, formazione professionale, università, ricerca e lavoro Regione
Emilia – Romagna
Ore 12.15 – Case histories
Ore 12.45– Dibattito e termine dei lavori.
In chiusura dell’incontro sarà offerto un buffet.
Le imprese interessate a partecipare sono invitate a compilare la scheda di partecipazione scaricabile al seguente link: https://www.smart-man.it/wp-content/uploads/2016/05/Scheda-di-adesione-UNINDUSTRIA.pdf, e ad inviarla alla Segreteria Generale di Unindustria Ferrara (tel. 0532 205122 – fax 0532 204740 – mail info@unindustria.fe.it), preferibilmente entro martedì 24 maggio 2016.
Posted on 27 Aprile 2016 by
Alessia Musumeci in
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Commenti disabilitati su La bocciatura di Moody’s: Pmi italiane troppo deboli
Erano il punto di forza del tessuto imprenditoriale italiano, il motore di un’economia che dà lavoro a 5,2 milioni di persone e genera oltre il 40% del Pil del settore privato. Ma a smontare il mito delle piccole medie imprese ci ha provato Moody’s, una delle tre maggiori agenzie di rating a livello mondiale. In un report di 17 pagine sulle differenze tra Pmi in Europa, sottolinea la pessima performance di quelle italiane, con il più alto tasso di fallimento dei Paesi presi in considerazione. Ossia Belgio, Francia, Portogallo, Spagna e Gran Bretagna. «Seppure le Pmi italiane forniscano il più alto valore aggiunto all’economia del Paese, la loro performance resta relativamente debole — scrive Moody’s — con un saldo aziende fermo ai tempi della crisi del 2008 e un tasso di mortalità delle imprese che supera di oltre l’1% quello di natalità».
La Gran Bretagna
Non che Moody’s abbia svelato chissà quale arcano rebus, i dati diffusi dall’agenzia di rating sono presi infatti da Istat, Cerved e Banca d’Italia. Ma i numeri, messi alla prova del confronto con alcuni Paesi europei, fanno un certo effetto. Prendiamo ad esempio la Gran Bretagna, il più dinamico nella crescita di Pmi negli ultimi dieci anni. Il loro valore aggiunto fornito all’economia nazionale è aumentato dell’11,6% nel 2014 contro una media europea del 3,3%. Merito di fondi privati, competizione e misure politiche che secondo Moody’s hanno portato non solo a far crescere le piccole imprese ma anche a diminuire il tasso di disoccupazione passato dal picco dell’8,1% del 2011 al 5,1% del 2015. Dati che confermano quanto, negli Anni 80, andava dicendo persino l’Ocse secondo cui «il settore delle piccole imprese stava svolgendo un ruolo insostituibile per combattere la disoccupazione mondiale».
E in Italia? Per Moody’s, ci si è dovuti accontentare del primo calo delle sofferenze delle Pmi, passate dal 3,9% del 2014 al 3,6% del 2015. Un ritmo di decrescita considerato «troppo lento». E altrettanto lenti e graduali sono valutati gli effetti delle decisioni prese dal governo in tema di riduzione delle sofferenze bancarie e dei crediti deteriorati in circolazione. Misure che, secondo l’agenzia di rating, avranno bisogno di tempo per ottenere risultati concreti.
L’esposizione alle banche
«Le Pmi italiane hanno scontato negli anni la completa esposizione al sistema bancario e la totale chiusura a qualsiasi altro tipo di finanziamento — spiega Alessandro Minichilli, professore di Strategia e imprenditorialità alla Bocconi ed esperto di Pmi e imprese familiari — al contrario degli altri Paesi in cui si è diffuso più velocemente il private equity e il venture capital. Ma non solo. Per tanti anni — aggiunge il professore — ci siamo vantati del “piccolo è bello” senza pensare all’internazionalizzazione e alla diversificazione del rischio. E così le nostre imprese, tutte concentrate a investire sull’Europa, una volta che la crisi ha colpito proprio il Vecchio Continente ne sono rimaste praticamente travolte».
La protesta della Cna
Le imprese italiane però non sono proprio dello stesso parere: «Quella di Moody’s è un’analisi ingenerosa e non analizza il problema nella sua completezza — spiega Sergio Silvestrini, segretario generale della Cna, la Confederazione dell’artigianato e della piccola media impresa —. Per performare meglio è necessario anche un contesto in grado di supportare le aziende: meno burocrazia, più credito, pagamenti puntuali e un mercato con regole più amiche dell’impresa. È innegabile poi che l’Italia sia uno tra i Paesi più massacrati dalla crisi del 2008 e le conseguenze hanno pesato anche sulle Pmi».
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Posted on 8 Aprile 2016 by
Alessia Musumeci in
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Commenti disabilitati su Settimana europea delle PMI: al via le registrazioni
La Commissione europea ha lanciato l’ottava edizione della Settimana europea delle PMI, il progetto che si svolge in 37 Paesi e mira a promuovere lo spirito imprenditoriale.
Possono essere incluse nella Settimana le manifestazioni, organizzate da organizzazioni di imprese, fornitori di servizi alle imprese e autorità nazionali, regionali e locali, che saranno effettuate nel corso dell’anno, sino al 31 dicembre 2016.
Nell’ambito della Settimana europea potranno essere realizzati conferenze, seminari, percorsi formativi, fiere, concorsi, giornate porte aperte in azienda, eventi on-line, ecc.
Scopo dell’iniziativa è:
- fornire informazioni sui diversi tipi di sostegno offerto dall’UE e dalle Autorità nazionali, regionali e locali alle micro, piccole e medie imprese;
- promuovere l’imprenditorialità per incoraggiare le persone, in particolare i giovani, ad optare per una carriera d’imprenditore;
- dare un riconoscimento agli imprenditori per il loro contributo al benessere, all’occupazione, all’innovazione e alla competitività in Europa.
Per partecipare occorre registrare il proprio evento (termine ultimo il 30 novembre) sul sito della Commissione. La pagina web, già attivata per la registrazione, non si presenta ancora nella sua veste definitiva ed è disponibile, per il momento, solo in lingua inglese.
L’evento principale avrà luogo, insieme con l’Assemblea delle PMI e la cerimonia di premiazione degliEuropean Enterprise Promotion Awards, dal 23 al 25 novembre 2016 a Bratislava.
Non è previsto alcun sostegno finanziario per la realizzazione delle iniziative ma il progetto è di grande impatto mediatico, in quanto consente la partecipazione ad un network istituzionale europeo.
La Commissione europea metterà a disposizione degli organizzatori degli eventi inclusi nella “Settimana europea delle PMI” un logo e del materiale promozionale e di comunicazione.
A livello europeo opera un Gruppo di coordinatori nazionali del quale fanno parte, per l’Italia:
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Posted on 1 Aprile 2016 by
Alessia Musumeci in
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Commenti disabilitati su «Più credito alle Pmi europee»
Le principali forze politiche del Parlamento europeo hanno inviato una lettera al commissario agli Affari finanziari Jonathan Hill per sostenere con forza l’importanza di rinnovare il sostegno al credito delle Pmi previsto dalle norme bancarie europee, così come una sua più ampia estensione. La lettera è stata firmata da 11 deputati, tra cui il vicepresidente, l’italiano Antonio Tajani (Ppe).
Nella missiva, i parlamentari definiscono la misura di requisito patrimoniale con cui valutare le esposizioni alle piccole e medie imprese – lo Sme Supporting Factor – «uno strumento che può aiutare queste aziende a giocare il loro ruolo di guida della crescita economica». Il sistema prevede infatti che per assicurare flussi di credito alle Pmi istituzioni creditizie e società d’investimento beneficino di requisiti di capitale più accomodanti. In questo senso, i deputati – provenienti da sei diversi paesi e da sei diversi partiti – chiedono alla Commissione di estendere l’applicazione dello Sme Supporting Factor, «per aiutare le piccole e medie imprese a giocare pienamente il loro ruolo nel ridurre il tasso di disoccupazione e sostenere la crescita nell’Unione europea».
La lettera giunge in un contesto molto particolare. Sul fronte finanziario, è acceso in Italia il dibattito sulle nuove regole che sovraintendono al salvataggio di una banca in crisi (il bail-in appena entrato in vigore). E che prevedono che obbligazionisti e azionisti subiscano perdite prima che lo Stato possa intervenire. Molte istituzioni italiane criticano queste regole, ritenendole tra le cause della recente volatilità dei mercati finanziari.
L’iniziativa degli 11 parlamentari europei – oltre a Tajani, il socialista italiano Roberto Gualtieri, la liberale francese Sylvie Goulard, il socialista tedesco Udo Bullmann, il popolare tedesco Burkhard Balz, la socialista portoghese Elisa Ferreira, la portoghese della Sinistra Unita Marisa Matias, la conservatrice britannica Kay Swinburne, il liberale tedesco Michael Theurer, il popolare austriaco Othmar Karas, l’italiano del M5S Marco Valli – affronta un tema simile, sempre bancario, ma da un punto di vista più economico. La lettera evidenzia come le Pmi rappresentino il 99,8% delle imprese europee (le micro-imprese sono il 91,2% del totale) e garantiscono «un contributo vitale» alla crescita e all’occupazione. Il settore genera il 55% del Pil europeo e occupa 75 milioni di cittadini. Il timore è che la cessazione di questa agevolazione comporti per le piccole e medie imprese un aumento dei tassi d’interesse al momento del prestito o peggio una riduzione dei flussi di credito, in un contesto economico già molto fragile. Laddove «con questa azione la diplomazia economica italiana si conferma capace di gioco di squadra, molto attiva a Bruxelles e orientata a sostenere i fattori di crescita dell’Europa», hanno scritto in un comunicato Tajani e Gualtieri.
Soddisfazione per un’iniziativa «pienamente in linea» con le richieste degli industriali italiani è stata espressa da Vincenzo Boccia, presidente del Comitato tecnico Credito e Finanza di Confindustria. A suo giudizio, «il Pmi supporting factor si è dimostrato uno strumento fondamentale per sostenere l’accesso al credito delle Pmi, in una situazione non facile. Anche a seguito degli interventi sulla regolamentazione del sistema creditizio, che hanno inciso e potrebbero continuare a incidere in misura rilevante sull’offerta di credito, accentuando le tensioni finanziarie del sistema produttivo e rappresentando un freno alla capacità di ripresa dell’economia – spiega Boccia -, lo Sme Supporting Factor è un supporto essenziale, perché ha consentito di ridurre gli effetti restrittivi dei più elevati requisiti patrimoniali di Basilea 3 e ha avuto un impatto significativo sulla capacità delle banche di erogare credito alle imprese di dimensioni minori. Secondo l’Abi – prosegue – la misura ha corrisposto a una maggiore potenzialità di credito di circa 30 miliardi». Da qui la richiesta di Confindustria non solo di confermarlo, ma anche di estenderne l’applicazione, «riguardando anche i crediti di importo superiore a 1,5 milioni». Senza dimenticare gli altri interventi: «A livello nazionale, occorre potenziare gli strumenti di garanzia; a livello Ue serve che il processo in corso di completamento e revisione della regolamentazione finanziaria tenga conto degli effetti sul credito e sulla crescita».
Soddisfatto è anche il direttore generale dell’Abi, Giovanni Sabatini, per un’iniziativa che «consentirà di favorire ulteriormente l’erogazione del credito alle piccole imprese, che rappresentano la spina dorsale dell’economia italiana ed europea».
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Posted on 30 Marzo 2016 by
Alessia Musumeci in
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Commenti disabilitati su Quando l’innovazione incontra la competenza matching tra Pmi, startup e manager
Mappare l’amianto con i droni attraverso applicazioni avanzate nate per valorizzazione e tutelare l’ambiente; usufruire del servizio di telemedicina per la riabilitazione ortottica domiciliare; utilizzare una piattaforma di messaggistica per difendere le informazioni da accessi non autorizzati: le ricadute delle nuove tecnologie sul territorio toccano tutti gli ambiti della vita quotidiana, con progetti di ultima generazione che verranno presentati mercoledì 16 marzo, alle ore 17.00, in via Monte Rosa a Milano (sede del Gruppo 24 ORE), durante il “Matching Deal 2016” organizzato da Backtowork24.
La società del Gruppo 24 ORE che offre a manager, dirigenti e professionisti la possibilità di investire competenze e capitali in startup e PMI ad alto potenziale di crescita, per il secondo appuntamento del 2016 punterà l’attenzione sui settori dell’Information and Communications Technology e dell’hi-tech, che oggi possono aprire nuovi e interessanti scenari di sviluppo: «L’impatto delle nuove tecnologie sull’economia reale ha un peso che spinge gli investimenti complessivi – sottolinea Alberto Bassi, amministratore delegato di BacktoWork24 – basti pensare che l’anno scorso sia investitori istituzionali che business angels, family office e venture incubator hanno scommesso oltre 133 milioni di euro su questo importante anello della catena finanziaria. La nascita, la crescita e il consolidamento di queste realtà prevedono comunque una continua necessità di capitali e soprattutto di know how che solo manager di grande esperienza e competenza riescono a trasferire». È per questo che BacktoWork24, con un attento scouting preliminare, ha selezionato 18 eccellenze del panorama di web solution e digital economy per un evento che vedrà incontri one-to-one e momenti di networking riservati a manager e investitori.
«L’ecosistema delle startup e delle piccole imprese hi-tech in Italia – continua Bassi – è ricco di realtà interessanti che hanno letteralmente stravolto i più tradizionali canoni di business, registrando performance innovative altamente competitive a livello globale e accelerando lo sviluppo sociale e culturale. L’obiettivo finale delle nostre iniziative è la formalizzazione dell’investimento e l’entrata in società del manager/investitore, pronto a scommettere sul futuro attraverso strumenti di finanza non convenzionale, che offrono non solo opportunità economiche, ma anche nuovi stimoli professionali».
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Posted on 29 Marzo 2016 by
Alessia Musumeci in
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Commenti disabilitati su La digitalizzazione delle piccole e medie imprese in Italia
Secondo la Commissione europea, nel corso del 2015 le aziende italiane hanno fatto registrare qualche progresso per quanto riguarda il ricorso alle tecnologie digitali
Recentemente il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha sottolineato che la digitalizzazione rappresenta “una leva essenziale” per aumentare “la capacità delle imprese di giocare un ruolo crescente sui mercati internazionali”, condizione fondamentale per stimolare la crescita economica e creare nuovo lavoro di qualità.Secondo il Digital Economy and Society Index 2016 (DESI) – ovvero l’indice che valuta lo stato di avanzamento dei Paesi dell’UE verso un’economia e una società digitali attraverso cinque indicatori (connettività, capitale umano, utilizzo di internet, integrazione della tecnologia digitale e servizi pubblici digitali) –, l’Italia è tra gli Stati membri dell’Unione europea meno sviluppati digitalmente: infrastrutture (l’Italia è ultima per la diffusione della banda larga fissa) e competenze (gli italiani sono 24esimi su 28 per le competenze digitali basiche necessarie) sono al di sotto della media europea. Ma risultati (relativamente) positivi non mancano e provengono dalle imprese.
Pur invitandole a sfruttare al meglio le opportunità offerte dal commercio elettronico, la Commissione europea osserva che le imprese italiane sono tra le prime nell’UE ad utilizzare i servizi cloud. Nel corso del 2015 sono aumetante anche le imprese presenti sui social media, passate dal 12 al 14% del totale delle aziende con più di dieci dipendenti e attive nel settore non finanziario, e quelle che vendono on-line sia in Italia (dal 5,1% al 6,5%) che oltre confine (dal 4 al 5,2%). Secondo la Commissione europea, sfruttare le possibilità offerte dall’e-commerce consentirebbe alle imprese italiane di espandere i loro mercati o diventare più competitive in quelli in cui già operano.
Nonostante quanto rilevato dalla Commissione europea, il grado di digitalizzazione delle imprese italiane resta molto basso: l’indicatore di digitalizzazione, elaborato dall’ISTAT e basato sull’adozione di dodici attività in Rete (percentuale di addetti che utilizzano computer o device mobili connessi, utilizzo di specialisti ICT (interni o esterni), utilizzo di sito web dell’impresa…), è basso o molto basso per circa nove imprese su 10 (otto su 10 a livello europeo), con le aziende più piccole (10-49 addetti) che presentano un minore grado di digitalizzazione rispetto alle altre.
Posted on 22 Marzo 2016 by
Alessia Musumeci in
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Commenti disabilitati su Management inefficace: le conseguenze sulle risorse umane
Nel 54% delle PMI (dati Domino Simply Management) si verificano difficoltà nel far eseguire le attività assegnate, con conseguenze su produttività e risultati aziendali. Invece di far ricadere la responsabilità solo sui collaboratori si sta facendo strada l’idea che possa trattarsi di un problema di management: un comportamento troppo autoritario alimenta un clima pesante in ufficio e favorisce stress, paura e burn-out, compromettendo alla lunga motivazione e performance. Qui di seguito alcune strategie fondamentali per investire al meglio sul capitale umano.
Management inefficace = scarsa produttività
- Management inefficace. Tra i comportamenti inefficaci in capo alla dirigenza si sottolinea per esempio un’errata gestione delle deleghe. Nel libro “Gli errori dei manager” (A. Foglio) si dimostra quanto sia improduttivo optare per un’eccessiva granularizzazione dei compiti, che penalizza l’autonomia. Una corretta delega permette invece di: riconoscere ai subalterni il proprio ruolo, disponendo di capacità specifiche senza sovrapposizione di funzioni; esercitare un puntuale e costante controllo; favorire la crescita individuale aumentando impegno e motivazione; massimizzare la resa.
I risultati di un comando inefficace, tra l’altro, possono essere drammatici anche per i manager in bilico nelle loro posizioni apicali. A supporto di questa tesi, diversi i casi di capi defenestrati per l’impatto negativo sulle risorse del proprio atteggiamento: Jill Abramson (New York Times) eccessivamente autoritaria; Jack Welch (General Electric) licenziatore seriale”; Jeff Bezos (Amazon), nei sondaggi peggior datore di lavoro al mondo. Di fatto, secondo Theodore Dysart (Heidrick & Struggles International), le aziende sarebbero dunque sempre più riluttanti ad assumere dirigenti noti per comportamento lunatico o aggressivo, nonostante buoni risultati di business.
- Management efficace. Il vero must è dunque lasciar lavorare e collaborare, motivare i dipendenti facendo sinergia dentro e fuori l’azienda. La leadership in questo senso richiede guida e cooperazione con i lavoratori. Secondo un recente sondaggio Hays (società di recruitment), il capo ideale deve essere un mentore (51% degli intervistati), un riferimento in grado di spronare e ispirare (47%), offrendo supporto nel percorso di crescita professionale (47%). Ma per realizzare efficaci programmi di mentoring è necessario il reale committment del management e un applicazione in tutti i reparti, lavorando sul medio-lungo termine. Onestà (44%) ed esperienza (42%) sono ulteriori valori intrinsecamente legati al ruolo di manager. Così come capacità di ascoltare, fornendo feedback senza intaccare l’autonomia decisionale ma creandosi piuttosto una rete di relazioni all’interno dell’azienda.
Management efficace = elevata produttività
La partecipazione dei lavoratori ne aumenta la produttività e ha effetti positivi su performance e resilienza delle aziende (sondaggio Gallup per Eurofound), ma per migliorare la produttività si deve agire tanto sul dipendente quanto sul manager. Per prima cosa, pertanto, è importante effettuare un’analisi del clima aziendale (rivolgendosi a esperti che possano garantire l’obiettività delle rilevazioni), sulla base dei risultati, implementare adeguate azioni adattive.
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Posted on 21 Marzo 2016 by
Alessia Musumeci in
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Commenti disabilitati su Pmi e internazionalizzazione: binomio possibile?
Secondo alcuni, la dimensione ridotta, la scarsa managerialità, la proprietà familiare e la presenza prevalente in settori maturi, impediscono un efficace sviluppo oltreconfine delle Piccole e medie imprese.
Questa visione va, almeno parzialmente, smentita, per superare i luoghi comuni sostenuti da chi giudica le PMI senza conoscerle approfonditamente e per introdurre un nuovo approccio in grado di favorire la loro presenza sui mercati esteri.
Molte piccole imprese italiane hanno capito da tempo l’importanza di aprirsi all’estero e hanno saputo raccogliere la sfida. Queste aziende, oggi, nonostante il crollo della domanda interna, riescono a distinguersi con performance economiche sopra la media. È da queste realtà che si deve imparare, dall’osservazione dei loro comportamenti strategici e organizzativi che possono essere replicati anche in altre situazioni.
Rafforzarsi in Italia per conquistare l’estero
Una prima considerazione che l’osservazione di molti casi eccellenti consente di fare, riguarda proprio larelazione tra internazionalizzazione e performance.
Sembra di poter affermare che, se una piccola impresa è forte in Italia, ha maggiori chance di conquistare anche i mercati esteri. Le aziende internazionalizzate mostrano risultati migliori di chi si è limitato al mercato domestico e dunque appiano più solide, più competitive ma, nella maggioranza dei casi, lo erano già prima di avviare la loro espansione all’estero, processo che è stato possibile proprio grazie alle risorse accumulate in precedenza.
Essere forti porta con più facilità all’internazionalizzazione e non viceversa, a causa delle risorse, degli investimenti e dei costi fissi necessari per farsi conoscere all’estero. Se si condivide questo passaggio conviene dunque puntare, prima di tutto, a un rafforzamento interno all’impresa in termini strategici.
Interventi estemporanei solo sul fronte esterno, per esempio le missioni all’estero attraverso sussidi di istituzioni pubbliche, in assenza di una certa solidità interna difficilmente portano ricadute sostanziali.
Questa forza, alla base del processo di internazionalizzazione, non sembra correlata al tipo di settore o mercato scelto per competere. Si trovano imprese con ottimi risultati sui mercati internazionali, pressoché in ogni comparto merceologico, da quelli considerati maturi a quelli più evoluti.
Orientarsi al lungo termine
Un primo elemento ricorrente è quello di essere imprese guidate secondo una prospettiva dimassimizzazione del profitto nel medio-lungo termine. Ciò significa che gran parte delle decisioni rilevanti, inclusa quella di esplorare i mercati esteri, sono prese secondo un orizzonte di lungo periodo, con la capacità di sopportare ritorni non immediati.
Le fiere internazionali, le attività di comunicazione, l’inserimento di personale dedicato all’export sono portate avanti con costanza e vagliate non solo nel breve periodo.
Confrontarsi con “i migliori”
Una seconda caratteristica importante è l’attitudine a confrontarsi con chi è più avanti, anche se geograficamente lontano, ovvero con chi ha saputo proporre soluzioni creative a problemi emergenti, con chi ha messo a punto prodotti, servizi, strutture e meccanismi innovativi e con chi ha affermato logiche e modalità di pensiero non ripetitive.
Le imprese “forti” appaiono come “imprese-spugna”, che assorbono e metabolizzano quanto l’ambiente loro circostante propone. Confrontarsi con chi è più bravo, sia pure limitatamente a singole aree dell’agire aziendale, amplia le opportunità di crescita perché permette di visualizzare un più alto livello di operatività già realizzato e dunque imitabile e, in alcuni casi, anche migliorabile.
Specializzarsi e non diversificare
Una terza peculiarità riguarda la scelta strategica di specializzarsi in un prodotto e/o in un servizio piuttosto che inseguire la diversificazione per poi darsi l’obiettivo di operare, eventualmente, anche su scala globale.
Cambiare completamente la propria combinazione strategica perché ritenuta, anche a ragione, in crisi per inseguirne altre più alla moda significa snaturare una consuetudine tipica, in particolare, delle piccole e medie imprese: l’imprenditore non è uomo per tutte le stagioni, profilo che più si avvicina alle caratteristiche di chi si muove secondo la prospettiva del finanziere, e dunque lega il proprio business a fattori molto specifici, spesso casuali.
Le mansioni svolte e il settore dell’azienda in cui ha operato da dipendente prima di rischiare in proprio, il crescere all’interno di una famiglia proprietaria di un’impresa presente in un certo comparto, le specializzazioni del distretto territoriale in cui è nato e cresciuto, la formazione professionale acquisita ed altre circostanze tipiche della vita di ciascuno sono fatti che indirizzano l’esperienza dell’imprenditore, come quella di chiunque altro, e che orientano il suo fare impresa.
Pensare di poter cambiare con facilità e con successo di risultati la predisposizione che nasce da questoaccumulo di esperienza pregressa è molto meno logico che applicarsi con maggiore creatività per migliorare la combinazione strategica originaria recuperando l’efficienza e l’efficacia eventualmente persa per causa propria o, più probabilmente, per maggior dinamismo altrui.
Fare innovazione
Una quarta caratteristica, riconosciuta come fondamentale per rafforzarsi e poi penetrare nuovi mercati, è la capacità di fare innovazione anche operando in settori considerati maturi e tradizionali.
L’impresa forte mostra di continuo quest’abilità di rinnovamento e riesce a cogliere opportunità sorprendenti in ambiti dove apparentemente tutto sembra già scoperto. Il sistema competitivo è in continua evoluzione e sempre nuovi concorrenti possono presentarsi sul mercato, sia questo caratterizzato da prodotti di massa che da prodotti di nicchia.
Non ci si può fermare, vince chi cambia: gli eccellenti risultati economici conseguiti non rappresentano da soli una certezza di un domani altrettanto effervescente e pertanto non devono costituire una barriera a nuovi investimenti, ma devono essere il trampolino per la ricerca di nuove opportunità. Adagiarsi è un rischio e le aziende leader ne sono pienamente consapevoli.
Fare qualità nel piccolo
Infine, la spinta verso l’estero pare essere data dalla capacità di fare qualità nel piccolo e offrire servizi, piuttosto che ricercare efficienza attraverso la crescita dei volumi e l’abbattimento dei costi.
Questa seconda alternativa strategica, opposta alla prima, sembra, infatti, più coerente con la produzione di beni di massa e con le grandi dimensioni e dunque, nello scenario attuale, più facilmente attuabile nelle così dette economie emergenti.
In un contesto come quello italiano, l’unico posizionamento ancora sostenibile è quello della massima qualità, anche per intercettare più facilmente ciò che il resto del mondo si aspetta dal made in Italy.
Se la globalizzazione ha portato a uno spostamento degli assetti produttivi d’interi comparti merceologici nei paesi in via di sviluppo, con conseguenti e importanti perdite da parte delle economie occidentali, essa, attraverso la creazione d’ingente ricchezza, sta favorendo la nascita di nuovi consumatori.
Il calo della domanda interna non deve far pensare che il mondo sia in crisi, al contrario ci sono aree che registrano tassi di crescita mai sperimentati in precedenza, con l’emergere di milioni di potenziali clienti. Sono proprio costoro, i rappresentanti delle nuove elite di quegli stati, che si aspettano dalle produzioni italiane quell’eccellenza qualitativa nella manifattura, di rinascimentale tradizione, per cui siamo riconosciuti e apprezzati da molto tempo.
Marina Puricelli
Docente di Organizzazione Aziendale Bocconi e NIBI
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Posted on 16 Marzo 2016 by
Alessia Musumeci in
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Commenti disabilitati su Innovare è un must: si parte dalle risorse umane ed è vietato sprecare
Per far fronte a una competizione sempre più globale, le aziende italiane devono gestire in modo più efficiente i processi di sviluppo e progettazione. Gli ostacoli da superare non mancano ma quattro modelli permettono di fronteggiarli. E a livello di competenze It sarà sempre più accentuato il potenziamento di ruoli dedicati presidio dei clienti interni e alla governance.
Sprechi di tempo, di conoscenza e di risorse frenano l’innovazione e lo sviluppo, che sono due degli elementi di cui le Pmi e le grandi aziende italiane necessitano per competere sui mercati internazionali. Se poi a riscontrare, più o meno frequentemente, una perdita di tempo nelle modifiche ai progetti dovute ai cambiamenti nelle priorità sono il 90% delle imprese ecco che le attività di progettazione e le problematiche che le interessano meritano un approfondimento. La fotografia scattata dall’Osservatorio GeCo (Gestione dei Processi Collaborativi di Progettazione) della School of Management del Politecnico di Milano ci dice per esempio che il 78% del campione di 400 imprese italiane attive in diversi settori industriali si ritrova a dover rifare i progetti dopo aver riscontrato inesattezze nei dati di partenza. Quali spiacevoli conseguenze genera questa inefficienza? Troppe e continue richieste di modifica, sovraccarico dei progettisti e (interessa più di un terzo delle aziende) lo sforamento dei costi dei progetti.
Se innovare, con l’ausilio delle tecnologie informatiche e digitali, è un passaggio obbligato per recuperare competitività sullo scenario globale, ecco che sprechi come il tempo necessario per inserire manualmente informazioni del progetto in più sistemi informativi (transcodificando manualmente dati e codici) non sono più tollerabili. Eppure penalizzano il 72% delle aziende. E dicasi lo stesso per l’utilizzo non adeguato delle risorse derivante dalla sovra-progettazione di prodotto, con conseguente crescita dei costi di sviluppo. Meno rilevanti, ma nell’era dei Big Data, del cloud e delle analytics sono percentuali da considerare attentamente, sono gli sprechi di conoscenza legati all’aver progettato prodotti con funzionalità non richieste dal mercato, un difetto riscontrato dal 55% delle aziende.
C’è modo di poter ordinare la progettazione in azienda verso la riduzione degli sprechi e la crescita della competitività? Si c’è, e dall’Osservatorio si evidenziano quattro modelli di innovazione cui fare riferimento e già avviati dalle realtà analizzate. Il primo è la progettazione orientata al cliente, che consente di essere competitivi nei costi e nelle tempistiche e maggiormente orientati alla customizzazione. Un secondo modello perseguito dalle aziende italiane si basa su un approccio formale e pianificato alla creazione, con rilevazioni di performance e un aggiornamento costante e documentato dei progetti. Una terza via all’innovazione è quella della progettazione collaborativa, e cioè l’esplorazione simultanea e condivisa di diverse alternative progettuali, che aumenta la flessibilità, la tempestività e la puntualità di esecuzione. C’è quindi un quarto modello ed è quello basato sulla sostenibilità dei prodotti, che si concretizza attraverso l’attenzione alla logistica e alla seconda fase del ciclo di vita del prodotto stesso, lavorando sull’aspetto della differenziazione. Il tutto, ovviamente, condito dagli strumenti tecnologici e digitali.
Se da un lato si investe ancora troppo poco in innovazione, appare invece accresciuta la consapevolezza di quanto l’acquisizione di nuove competenze digitali sia un passo fondamentale per continuare a giocare un ruolo importante per le imprese. Se da una parte assistiamo all’evoluzione delle tecnologie e all’affermazione di paradigmi quali i Big Data Analytics, l’Internet of Things e il Mobile, dall’altra lo sviluppo di competenze innovative e l’individuazione di nuovi profili professionali in grado di presidiarle e diffonderle rappresentano asset fondamentali per supportare il processo di trasformazione digitale in seno alle singole organizzazioni.
Un’altra ricerca del Politecnico, condotta dalla Digital Innovation Academy su un campione significativo di Cio di grandi imprese operanti in Italia, mostra come in tal senso anche in futuro verrà confermato il trend che ha portato negli ultimi anni ad un progressivo snellimento del nucleo operativo a fronte di un potenziamento di altri ruoli e competenze. Il 17% delle direzioni Ict, in particolare, prevede l’aumento delle risorse dedicate al presidio dei clienti interni, il 14% indica la crescita dei ruoli dedicati alla governance e il 19% pianifica un incremento delle figure della linea intermedia. L’orientamento dei Chief information officer e responsabili It appare nel complesso rivolto all’acquisizione e al rinforzo di tutte le competenze (di progetto e di gestione, tecnologiche e di business) e in particolare di quelle relative allo sviluppo (e quindi Innovation Management, Change Management, Demand Management, Program e Project Management). La prima priorità organizzativa, comune alla metà delle imprese censite, è infatti la gestione dell’innovazione volta al miglioramento dei processi aziendali, delle relazioni con i clienti ma anche dei modelli di business. E questa, per Cio, è una delle sfide da vincere più importanti nel 2015.
Il Sole 24 ore